Son le mie notti come questo vento,
turbine di passione che io non celi
come il sole dietro nuvola a giorno.
Non hai speranze se l’amor consuma,
giocando sopra un prato o con la luna
che striscia lenta, allunga il suo bagliore
dentro l’alcova, apposta tra glicini in fiore.
Il desiderio cresce, ardon le labbra,
e come fil di fumo in focolare al vento sale,
così risveglia i sensi lo sguardo tuo
che filtra tra le palpebre socchiuse,
scioglie ogni freno, scuote dal torpore,
ogni fibra urla di piacere, i fianchi stanca
questo desio d’averti ancora accanto,
mirabile padrone del mio cuore.
Menzione d'Onore-"Altre parole d'amore"-10 Settembre 2016
Premio Acume-Premio Letterario Internazionale-Molochio 17 Settembre 2022
Il delirio degli amanti è tema ricorrente in poesia: la fiamma d’amore
che brucia i sensi e il cuore arde fortemente nel pensiero dei poeti che
tendono sempre a rendere il sentire come sentimento
assoluto, sciolto, cioè, da ogni legame che impedisce all’uomo di andare al di
là di una fisicità che potrebbe provocarne un’immediata dissoluzione. Così in
questo componimento. Se nella prima strofa il ritmo è incalzante in sintonia
con il motivo della passione vento/turbine, in cui la forza del desiderio si
esprime attraverso una silenziosa esclamazione (che io non celi), perseguita con insistenza nel successivo paragone
(come il sole dietro a nuvola a giorno),
nelle quartine centrali lo stesso rallenta quasi a voler prolungare quegli
attimi in cui il desiderio cresce, ardon
le labbra fino a percepire i sensi come attratti da una forza sovrumana: così
come il fil di fumo che il vento attrae a sé attraverso quel
focolare che rimanda, come fatto poetico ormai storico, all’idea dell’intimità
della casa, della sua parte più interna. Questa forza che si eleva sull’umano
la si coglie particolarmente nella seconda strofa in cui la natura stessa si fa
complice dell’ardore che coinvolge gli amanti: amore come lusus, gioco, nell’immagine del prato, e amore come nascondimento
innanzi al quale solo la luna ha l’audacia di allungare il suo bagliore sino al talamo, eppure anch’essa si
arresta tra i glicini in fiore,
discreta, quasi rapita dalla sacralità dell’atto risvegliato da uno sguardo,
anch’esso discreto (tra palpebre
socchiuse), sebbene rapitore, ladro degli amorosi sensi (v. 11): così esso scioglie e scuote, ma se ogni fibra urla
di piacere e i fianchi stanca è in virtù di un pensiero che è già desiderio
– il desiderio di aver ancora accanto l’amato, quel mirabile padrone di stilnovistica memoria, ma di una memoria rinnovata: non è l’amata ad essere domina, padrona, ma l’amato. Così
l’ultimo verso che chiude il componimento rievoca tutta la classicità di un tema
filtrato qui attraverso l’estremo desiderio della donna – non esplicito, non
decantato – quello di appartenere al suo dominus,
che per essere depositario di tanto ardore è, appunto, mirabile. ( M. Spagnuolo ).
17 Settembre 2022-Premio Letterario Internazionale " Aspromonte città di Molochio ", Associazione ACUME- Premio Acume