Racconti

IL REUCCIO FATTO A MANO
( Una fiaba calabrese )

C'era un re che aveva una figlia, la Reginotta, che non voleva sposarsi. Un giorno, stanca delle insistenze del Padre si presentò a lui e disse:" Padre, datemi un cantaro di farina e un cantaro di zucchero che il marito me lo faccio da me". Il padre l'accontentò e la Reginotta si chiuse nelle sue stanze: impastò la farina e lo zucchero, diede una forma al suo sposo e al posto del naso gli mise un bel peperone e lo posò in una nicchia. Ogni giorno andava davanti alla nicchia e recitava: " re Pipi fatto a mano senza penna e calamaro, sei mesi a setacciare, sei mesi ad impastare , sei mesi alla nicchiola e ti viene la parola". Dopo sei mesi Re Pipi parlò e la Reginotta lo accompagnò da suo padre e re Pipi chiese la  mano della principessa. Il Re organizzò una grande festa invitando tutti i principi e le principesse, fra queste anche la principessa Turcacane che aveva dei poteri magici e che  si innamorò di re Pipi e con la scusa di una passeggiata in giardino fece sollevare un forte vento e rapì Re Pipi. La Reginotta bdisperata tornò dal padre piangendo e pianse per molti mesi poi un giorno si decise e disse al padre:" Non voglio più piangere voglio andare a cercare il mio sposo". Si mise un mantello sulle spalle e incominciò a camminare per raggiungere il castello della principessa Turcacane.....cammina cammina, la sera giunse al limitare di un bosco e vide un piccolo lumicino ad una casetta,  bussò: una voce grave chiese chi fosse e la Reginotta rispose: "Sono un'anima cristiana, senza casa cerco un riparo per la notte.." Entra anima cristiana e segnati con il segno della croce"....La Reginotta si segnò ed entrò nella casetta, al mattino prima di andarsene il romito le diede una noce e le raccomandò di aprirla solo quando fosse arrivata sotto il castello della principessa, la stessa cosa successe la sera seguente e il secondo romito le diede una nocciola con le stesse raccomandazioni e il terzo romito una castagna.
Giunta al castello della principessa, la Reginotta buttò per terra la noce che si aprì ed usci una bellissima  danzatrice tutta vestita d'oro con uno strumento in mano e si mise a suonare. La principessa si affacciò e subito ordinò alla sua serva di andare a comprare quel tesoro e la Reginotta chiese in cambio di poter dormire una notte nella stanza di Re Pipi.Quando salì nel castello Re Pipi dormiva e la poverina si mise a piangere e a recitare " re Pipi fatto a mano senza penna e calamaro, sei mesi a setacciare, sei mesi ad impastare , sei mesi alla nicchiola e ti viene la parola", ma Re Pipi non si svegliò e la poverina al mattino se ne andò triste.  Si ricordò dei doni e ruppe la nocciola, uscì un'altra bellissima fanciulla che si mise a suonare e come il giorno prima avvenne lo scambio e la sera il pianto della Reginotta perchè il suo Re Pipi non si svegliava. Durante il giorno il re fece una lunga passeggiata nel giardino del castello che confinava con un carcere, si avvicinò ai prigionieri che subito gli chiesero perchè ogni sera sentivano piangere nel castello e gli ripeterono parola per parola quello che avevano sentito e finalmente re Pipi capì di essere sotto un sortilegio. Al Mattino la Reginotta disperata ruppe la castagna, usci ancora la bella danzatrice tutta d'oro e la Turcacane la volle comprare alle solite condizioni solo che quando portò a Re Pipi la solita camomilla, re Pipi la buttò in una pianta della stanza, appena entrò la Reginotta si mise subito a piangere ma aveva appena incominciato che re Pipi le prese una mano e le disse "Zitta zitta moglie mia che adesso ce ne andiamo a casa" e riuscirono a fuggire mentre la Turcacane dormiva. Tornarono alla loro reggia e

si ficero tanti festi
balli e canti
e nui ristamo cu li mani vacanti.

( Questa favola si trova anche nella raccolta di Italo Calvino: Favole Italiane, ma è una favola calabrese e noi l'abbiamo drammatizzata a Simeri e rappresentata graficamente; offre molti spunti di conversazione sia in relazione alla distinzione tra reale e fantastico ma anche molti spunti favorevoli all'acquisizione delle strutture mentali inerenti allo spazio, all'interno del quale troviamo anche i concetti   temporali e topologici, matematica e logica...per chi vuole..lavorare...ce n'é..io ho fatto la mia....parte...

R













GLI ALBERI DI NATALE

I bambini della Scuola di NONSODOVE, erano tutti in piedi e guardavano dai vetri della finestra la valle che si stendeva ai piedi della scuola. I loro occhi erano sgranati e si chiedevano l'un l'altro che fine avessero fatto gli alberi che fino a poco tempo prima riempivano di verde la valle.
-Disegna i bambini alla finestra
-Disegna la valle senza gli alberi
Secondo me, disse Nicola, deve essere stato un grosso uccello, non è possibile disse Alex, per mè è stato uno scoiattolo, io credo invece che sia stata una volpe, disse Beatrice. insomma ognuno diceva la sua
- Disegna gli animali nominati dai bambini o altri anmali del bosco e del prato
Il nonno di Nicola eraun vecchietto che amava molto camminare, durante una delle sue solite passeggiate arrivò vicino alla scuola e vide nella valle tanti alberi ammucchiati per terra e decise di portarli a casa. Appena arrivato a casa imcominciò a pulire tutte le radici, le annaffiò per bene perchè vide che erano asciutte e senza terra e li dispose uno vicino al'altro davanti al suo cancello.
-Disegna il nonno che passeggia
-Disegna il nonno che trasporta i pini-
-Disegna il nonno che li annaffiare 
- Disegna gli alberi per terra
Intanto, gli animali del bosco che non trovavano più la loro casa, si erano radunati disperati: dove farò il mio nido, cinguettava la capinera, dove affilerò il mio becco si lamentava il picchio e il gufo brontolone bofonchiò, dove andrò a dormire? arrivò anche una tartaruga insieme ad una lucertola che si lamentò, dove andrò a ripararmi dal sole quando brucia? Ma anche la volpe e ed altri animali continuarono a lamentarsi.
- Disegna tutti gli animali nominati e altri animali che conosci
Decisero dopo una lunga discussione di mandare in esplorazione il furetto che era furbo e veloce e quando tornò li guidò verso la casa del nonno e mostrò gli alberi davanti al cancello. Il nonno era intento a bagnare le radici degli alberi per cercare di tenerli in vita.
- Disegna gli animali che  davanti alla casa del nonno
- Disegna il nonno che bagna gli alberi
Il nonno di Nicola conosceva bene il linguaggio degli animali e quando li vide tutti davanti alla sua casa, capì che cosa cercavano e, armato di pala e di pazienza, si diresse verso la valle dove incominciò a scavare delle buche profonde e  in ogni buca mise un albero.
-Disegna il nonno con la pala
-Disegna il nonno che scava le buche
-Disegna un albero dentro la buca
-Disegna qualche animale che osserva il nonno
Il mattino seguente, i bambini della scuola NONSODOVE, videro con grande meraviglia che la valle era ritornata di nuovo piena di alberi e sentirono tanti uccellini cantare sui rami. Furono così felici che si misero ianche loro in cerchio a cantare.
-Disegna i bambini alla finestra
-Disegna la valle piena di alberi
-Disegna i bambini in cerchio.
(A gennaio 2012 mi è stato chiesto da un amica  un racconto sugli alberi di Natale che vengono regolarmente gettati dopo...l'uso. Ho scritto questo che può essere utilizzato come attività didattica e che offre spunti di riflessione sul rispetto dell'ambiente e degli animali che lo popolano.  L'attività grafica, può essere accompagnata da poesie, canti, drammatizzazione e lettura di brani )

BIANCHINA E IL SUO PULEDRO
Questa che segue è invece una favola molto vecchia, la raccontavo a Gabriele ogni volta che lo portavo a letto, ossia al piano di sopra nella sua stanzetta. Non ha mai fatto capricci, solo si arrotolava  un ciuffo di capelli con le dita tirandoseli dalla fronte. Avevo anche creato e scritto la favola su un quaderno ma si sa, non sempre alle cose si dà l'importanza che meritano. Il quaderno  non c'è più ma la favola di Bianchina, una bellissima cavalla bianca e del suo puledro me la ricordo benissimo, chissà se lui se  la ricorda ?

C'era una volta una bellissima cavalla bianca dal pelo lucidissimo e con una coda da fare invidia a tutti i cavalli, si chiamava  Bianchina.  Aveva un piccolo puledro e ogni giorno lo portava a passeggiare nel  bosco e gli insegnava quali pericoli doveva evitare. Il puledro cercava sempre di correre e saltare tutti gli ostacoli che incontrava e ogni tanto quando Bianchina dormiva, andava a galoppare da solo anche se la mamma glielo aveva proibito. Un giorno però, mentre si divertiva a correre, scoppiò un temporale e un fulmine fece cadere un albero proprio sopra il puledrino che rimase con la gamba bloccata. Nel frattempo Bianchina lo cercava e lo chiamava  nitrendo forte per farsi sentire. Mentre il puledro stava disteso tutto dolorante, passò una lepre e si fermò ma non potè aiutarlo perchè era troppo piccola e pensò di andare a chiamare altri amici animali più grandi di lei, poi passò un cerbiatto, guardò il puledro e scosse la testa...qui ci vuole qualcuno che sia forte e incominciò una processione di animali che si fermavano a guardare e scuotevano la testa. Il puledrino era diventato tutto rosso dalla vergogna e incominciava anche a scendere la sera, allora si mise a piangere... ma non passava più nessuno...per fortuna indovina chi arrivò-Batman-( grida Gabriele mezzo addormentato), no, arrivò un elefante che con la sua proboscide sollevò il ramo e liberò il piccolo e disubbidiente puledro che corse subito a farsi coccolare dalla sua mamma.
( ogni sera  era un animale diverso che riusciva a liberare quella birba di puledro che ne combinava sempre qualcuna facendo disperare Bianchina che finiva  col perdonarlo ).

La favola si presta ad essere drammatizzata dai che bambini ed interpretata con fantasia, rappresentata graficamente e interessa trasversalmente tutti i campi di esperienza: le consegne dovranno tenere conto dell'età e della capacità di rielaborazione dei bambini a cui è rivolta. 

-CONSEGNE-
-Disegna le case degli animali: tana, nido, cuccia, stalla..etc.
-Il bosco, gli alberi, le foglie, i colori delle stagioni..etc.
-Disegna gli animali che conosci ( o che possiedi..)
-Disegna gli animali che vogliono aiutare il puledro
-Le voci degli animali
-La pioggia...il temporale...i lampi...la grandine...utilità e danni...
-L'elefante e il puledro: grande piccolo-alto basso-su giù-
-Gli amici si aiutano: collaborazione, condivisione, partecipazione, 
-Giochi motori: correre, saltare, superare brevi ostacoli, galoppare, etc. 
Giochiamo: inventiamo nomi che cominciano con la B, con la E...

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MAGIA DI NATALE
  
I bambini saltellavano allegri sul letto; la loro gioia dipinta sul viso scaldava il cuore..ma la stanzetta al buio nascondeva  le travi annerite del soffitto e le tende rammendate alle  finestre. Saltellavano pensando  ai doni che avrebbero ricevuto a Natale….e le loro voci  giungevano fino alla cucina dove Barbara, infagottata nella vestaglia, riordinava le poche stoviglie usate per la cena.
Sentiva di avere una pietra sul cuore..le voci dei bimbi le ricordavano che presto sarebbe arrivata la festività che tanto attendevano  e i doni…ma ci sarebbero stati doni per i suoi due bambini? Il lavoro era agli sgoccioli e quei pochi soldi che le rimanevano sarebbero serviti solo a comprare un po’ di cibo per qualche  giorno ancora. I bambini la stavano chiamando e si decise ad andare da loro che le buttarono le braccia al collo  facendola cadere sul letto.
La tristezza che aveva provato scomparve in un attimo…”Una favola mamma…una storia…”. Erano esigenti i suoi bambini ma era stata lei ad abituarli ogni sera prima di dormire a leggere o ad inventare favole e fiabe e la buona abitudine non veniva dimenticata dai piccoli e Barbara era brava a leggere e ad…inventare le fiabe.
“C’era una volta”, cominciò, mentre i bambini subito zittiti si sdraiavano sul letto, attenti ad ogni sua parola e con gli occhi sgranati nel buio, “ una bambina, che si chiamava Miryam…era molto bella, allegra, ogni minima cosa la rendeva felice…”. E poi mamma? Che cosa è successo?”..i bambini cercavano sempre di anticipare il finale delle storie che a Barbara sembravano talvolta banali ma che per i bambini avevano sempre un grande valore. “Successe”, continuò dopo aver ripreso fiato “ che durante le feste di Natale, Miryam incominciò a diventare triste, pensava all’albero di Natale  che l’anno prima aveva adornato di luci, stelle e palline colorate ma Boby, il suo affettuoso cagnolino sempre scodinzolante,  aveva fatto cadere l’albero e le palline  si erano    rotte tutte. La mamma aveva promesso che se Boby avesse continuato a restare in famiglia, non avrebbe mai più addobbato l’albero di luci: per questo Miryam era triste. Boby era il suo buffo compagno di giochi, un piccolo carlino che sbavava in continuazione e faceva un sacco di chiasso” “ E allora ?" chiesero i bimbi in attesa   del gran fnale…” e allora Miryam decise di portare lontano il suo Boby. Uscì  di nascosto  una sera col suo cagnolino messo in una scatola quasi più grande di lei, era in pigiama e al buio riuscì ad arrivare fino al cortile abbandonato dei vicini; la grande saracinesca del garage era aperta e Miryam mise la  scatola con dentro il suo compagno e si allontanò per rientrare in casa. Era molto triste però, pensava al suo Boby solo nella grande autorimessa e man mano che si allontanava lo sentiva guaire. Per tutta la settimana  Miryam fece la spola tra la casa  e la vecchia rimessa per portare da mangiare al suo Boby e si stupiva che né la mamma né suo padre non le chiedessero  nulla di Boby e delle sue continue uscite…”Si sarà perso"…disse una sera suo padre alzando le spalle. La sera di Natale, Miryam sedeva triste sotto l’albero carico di lampadine e di palline colorate ma non vedeva splendere nessuna luce.
L’albero  occupava tutta la stanza  e la tavola era apparecchiata con tante candele rosse, sentiva il papà e la  mamma parlottare in cucina…ma il suo piccolo cuore era con Boby nella rimessa e pensò a quante cose buone gli avrebbe portato con gli avanzi della cena di Natale.
All’improvviso le sembrò di sentire un guaito ben conosciuto: si affrettò a prendere una scatola con un gran fiocco rosso che stava sotto l’albero e con grande gioia l’aprì e liberò il suo Boby che cominciò a farle tante coccole e a scodinzolare fra le sue piccole braccia; quello era il suo regalo di Natale, aver ritrovato sotto l’albero il suo compagno di giochi, intanto un piccolo bagliore illuminò la stanza, la stella posata sulla punta dell’albero incominciava a palpitare e Miryam alzò gli occhi verso la piccola luce che man mano rivestiva tutto l’albero. Si accesero di colpo tutti i fili inargentati che rivestivano i rami e brillarono  le palline lasciando Miryam con la bocca aperta e il nasino all’insù.
“Che bello mammaaaa” gridarono insieme i bambini ancora svegli e attenti al finale della favola  “Che meraviglia e come è stato possibile?”, i bambini erano incuriositi e Barbara con voce ispirata rispose “E’ stata una magìa, la Magìa del Natale, quando tutto è possibile se si ha un cuore buono e generoso”.
I bambini felici si sdraiarono finalmente nei lettini e sognarono…sognarono un albero luminoso carico  di   palline  colorate che illuminava la loro piccola stanza e loro abbracciati, tutti col naso all’insù ad ammirare la stella sulla punta dell’albero, al risveglio, come per magìa, un albero carico di luci illuminava la loro buia stanzetta riempiendo i loro cuori di gioia e di meraviglia..” Allora siamo stati buoni anche noi, mamma?”, “Si miei cari, buonissimi e il Signore ha voluto premiarvi con un dono che tanto avete desiderato: un albero di Natale pieno di luci colorate”.

Pubblicata il 6 gennaio 2017, sulla Rivista Santa Maria Del Bosco 
http://www.rivistasantamariadelbosco.it/index.php/notizie-e-attualita/635-un-racconto-di-caterina-tagliani-magia-di-natale

Pubblicata in " A Faccia nuda", 2023,   Antologia di Poesie e Raccont, I  Concorsi di Sam Samideano- Messina 28 Giugno 


IL SOGNO DI ROGERIUS

 Sulle alture scendeva lenta la sera, gli ultimi raggi del sole illuminavano ai piedi del cavaliere una distesa di floridi e secolari uliveti che, assorto nei suoi pensieri Rogerius sembrava non vedere affatto. Il viso era corrucciato, come se un pensiero nascosto lo turbasse, l’armatura che portava sembrava pesare sulle sue forti spalle quasi incurvate né si accorgeva che il sole ormai giunto al tramonto faceva risplendere la sua corazza d’argento. Il cavallo, docile fra le sue ginocchia, procedeva lento, assecondando quasi l’umore del suo bel cavaliere.
Quando all’improvviso s’impennò, Rogerius fu quasi sbalzato di sella, cercò di calmare l’animale che, ritto sulle zampe posteriori sembrava invece recalcitrare sempre più fino a quando riuscì a liberarsi dal morso e abbandonare a se stesso il suo cavaliere fuggendo e nitrendo a lungo. Rogerius non era abituato ad essere spodestato da alcuno, tanto meno dal suo cavallo, per cui dopo un primo attimo di smarrimento si rialzò e iniziò a guardarsi intorno mentre i raggi del sole andavano man mano allungando solo qualche ombra: la sera sarebbe giunta presto ma non si scoraggiò.
Sapeva bene  di essere nei suoi possedimenti  e che la sua dimora non poteva essere lontana, s’incamminò tranquillo verso quella che sembrava una luce, una capanna forse di qualche pastore ma dopo aver fatto pochi passi, si accorse di essere dentro una grotta, una luce la illuminava ma non riuscì a capire da dove provenisse: la capanna gli parve vuota, dai muri grondava un po’ d’acqua e nel silenzio rotto solo dalle gocce che battevano sul pavimento di pietra, gli parve di avvertire dei singhiozzi.
Il suo nobile animo di cavaliere ne fu subito commosso ma, benché scrutasse ogni angolo, non riuscì a vedere nessuno, cercò di ascoltare la provenienza di quel pianto così accorato e gli parve che uscisse proprio da quella misteriosa luce che splendeva in un angolo della grotta alla quale si avvicinò con riverenza e, pur non vedendo alcuno s’inginocchiò e chiese:
 “ Chi sei? Perché piangi?”, una voce dolce e femminile rispose: “ Non hai forse visto come è stata distrutta la mia casa? Ora non ho più dove andare né alcuno che mi venga a trovare.  Il tetto è in rovina perché ogni parete è crollata e ogni mio altare ora è senza fiori… sbriciolato… non più corone alle mie statue che son rotte, giacciono tutte al buio, a terra, nessuno le ha raccolte… il vento le flagella. Ogni povero sostava per riparo e davo luce ad ogni cuore oscuro”.
Rogerius rimase in ginocchio e in silenzio, gli pesavano quelle parole come  un rimprovero diretto a lui e mettendo una mano sul cuore rispose: “Sarò il tuo servo e costruirò per te una grande casa, avrai di nuovo il  tuo altare, dove tutti i poveri potranno trovare riparo, lo giuro, sono un cavaliere del Signore”.
D’improvviso la luce scomparve e Rogerius non si trovò nella grotta, pensò di avere sognato perché era nuovamente in sella al suo destriero ed  un’alba radiosa era sorta colorando ogni foglia che al suo passaggio sembrava inchinarsi; in cuor suo ripensava alla promessa fatta in un antro splendente di luce, ripensò alla voce, gli sembrò di riudire il pianto e promise in cuor suo “ mai più lacrime Al Tuo Altare” perché…

Quando scende l'ombra  della sera
sempre t'accompagna una preghiera.
Se pensi che il destino t'è avverso
ti prepara di certo un'altra strada

perché tu possa giungere alla mèta.
E non aver paura!
Realizzerai ogni tuo sogno infranto
come bottiglia verde sulla riva

riluce sotto il sole che la cuoce.
Ed ogni vetro sembrerà più bello
anche fra i sassi e asciugherà al calore
come panno steso accanto al focolare.

Ma non temere
v'è sempre  un giorno per ricominciare
un altro sogno ancora da inseguire...
e un'altra prece porterò all'altare.
( da “Cadono come petali i sogni”)


Come aveva promesso alla voce che nella grotta aveva ascoltato e pensando alle lacrime che l’avevano accompagnata, Rogerius s’impegnò fin dal giorno seguente a cercare un luogo che fosse ampio, luminoso, dove il sole potesse illuminare dall’alba al tramonto la grande casa che aveva promesso di costruire.  Passò molto tempo a disegnare, cancellare e ridisegnare nuovamente quello che nella sua mente si presentava come un grande progetto; aveva a sua disposizione braccia forti dei suoi soldati, maniscalchi, fabbri e falegnami, bravi muratori, decoratori e pittori e quando trovò il luogo adatto, i lavori iniziarono e progredirono alacremente. Passava gran parte del tempo a sorvegliare i lavori, spronando, dando suggerimenti e consigli, aiutando talvolta, con grande stupore dei suoi sottoposti che si sentivano onorati dalla presenza del cavaliere e nello stesso tempo cercavano di soddisfare i suoi desideri lavorando il più velocemente possibile e con grande precisione. A sera, Rogerius, stanco e soddisfatto saliva sull’altura  e contemplava dall’alto i progressi che quotidianamente la grande casa andava man mano elevandosi. Nel cuore avvertiva una sensazione di pace mista a grande timore, né sapeva spiegarsi il perché di questo disagio e mentre il tempo sembrava trascorrere sempre più in fretta, l’ansia aumentava il desiderio di completare al più presto la sua opera e mantenere così la promessa fatta ad una voce dentro una grotta che non era mai più riuscito a trovare.
L’entusiasmo che aveva all’inizio mostrato e che aveva contagiato anche tutti i suoi aiutanti sembrava a tratti scomparire sotto il peso del tempo che scorreva inesorabile: primavera, estate e autunno erano ormai passate e si preparava un inverno che minacciava di essere rigido. In sogno Rogerius riudiva  “…ogni povero sostava per riparo..” e si svegliava sudato e col batticuore, capiva che se non avesse terminato in fretta il suo compito e mantenuto la sua promessa, non avrebbe avuto più pace. A nessuno aveva raccontato la sua visione, né si era sentito in obbligo di farlo, così come nessuno aveva chiesto spiegazioni: non si dovevano e il Signore del maniero si sentiva quasi abbandonato e solo benché la volontà di adempiere alla promessa fatta costituisse per lui un obbligo d’onore al quale non poteva venir meno.
Pensò un giorno di raccogliere attorno ad una  tavola gli amici e tutti coloro che aveva assoldato nella costruzione della grande casa, artigiani e contadini, nobili e poveri della sua contrada che, all’invito di Rogerius, avevano spalancato gli occhi cercando di  presentarsi con i loro abiti migliori.
L’immenso salone del castello splendeva di luci e risuonava di canti; il profumo dei fiori che riempivano i grandi vasi si spandeva nell’aria,  Rogerius osservava contento quell’allegria che accomunava la sua gente, unita nella sua casa: il ricco con il povero, il maniscalco con un Marchese, il calzolaio con un Principe dialogava, forse di scarpe ma insieme a condividere quella festa inaspettata.  
Ad un tratto si udì come un tuono, un brontolio lontano sembrò avvicinarsi e per un attimo cadde un silenzio come presago di sventura, la terra si mise a tremare come se qualcosa l’avesse all’improvviso colpita. Rogerius si affacciò al grande portone del suo castello e guardò fuori rimanendo stupito, uscì subito seguito dagli altri ospiti a guardare la desolazione che si presentò davanti ai suoi occhi: la grande casa che era giunta a buon punto e che in tanti avevano contribuito ad innalzare, giaceva a terra, in frantumi, le pietre continuavano a rotolare una sull’altra ma intorno nulla era mutato, alberi e case non avevano ceduto al terremoto.
Rogerius rimase un poco a guardare fuori, poi si voltò e vide tutti gli amici intorno a sé: i poveri che aveva raccolto, i contadini che avevano lavorato, gli architetti che avevano reso famoso il suo castello, i pittori che avevano adornato le sue belle sale con i loro dipinti…li guardò tutti, uno per uno e sentì una grande pace scendere nel suo cuore e comprese alfine di aver realizzato la promessa fatta alla voce che gli aveva parlato e che aveva pianto nella grotta e comprese finalmente il reale messaggio ricevuto. Rogerius s’inginocchiò, dai suoi occhi scendevano lacrime di gioia e non s’accorse che un lampo di luce illuminava la sua figura raccolta come in preghiera …venne subito imitato da tutti coloro che gli stavano intorno e che pensarono volesse ringraziare per lo scampato pericolo; né compresero quando ad alta voce disse: “ Questa casa sarà “Il Tuo Altare”.
 Caterina Tagliani
3 Classificata-Narrativa-Premio Veretum 2017


Ti racconto il mio melanoma IV Stadio BRAF Mutato; inserito in questa Antologia dall'Associazione Moby Dick- Premiata in Campidoglio  l1 Aprile 2023


                                                                                                 

Del mio romanzo, premiato  e stampato dal Convivio Editore, (Gennaio 2023), hanno scritto 
Francesca Misasi: Un libro, una storia, una vita e…una terra, la nostra, nuda cruda, raggomitolata in silenzi assordanti ed impenetrabili dove i personaggi si muovono con tempra dura come l’acciaio e il dolore sottratto alla vista… gente fiera della ricchezza come della povertà, gente che, soprattutto, non dimentica ….. un racconto che non giudica, non condanna ma ti inchioda a riflettere, a porti quelle domande le cui risposte non sono mai facili e i perché non trovano risposte se sradicate dal contesto sociale in cui ruotano Una bellissima prova d’autore, un romanzo che in poche pagine ha sintetizzato l’universo sociale, culturale ed umano di una terra grezza e orgogliosa ma non priva di slanci generosi ed altruistici, una storia da leggere fino in fondo per prendere coscienza di un passato forse troppo presto dimenticato. Indiscusse la fluidità e la scorrevole raffinatezza della narrazione che acclarano, qualora ce ne fosse stato bisogno, la grammatura culturale e la bravura di Caterina alla quale vanno i miei più vivi e sinceri complimenti!


Novembre 2022-Mauro Paolo Montacchesi:
L’estetica lirica di Caterina Tagliani è sempre il geroglifico portato delle sue più icastiche sensazioni, dei suoi stati di tormento interiore, del suo perenne manicheismo tra speranze e timori. La poetica taglianea è perennemente spontanea, impulsiva, istintiva, caratterizzata da un'ispirazione e da una tecnica espressiva prive di qualsiasi artificiosità. La cremasca, amabile Erato (derivazione da Eros), in virtù della poesia, si estolle, si aderge in direzione di firmamenti sconfinati, lassù, dove scorrono metafisici, cristallini ruscelli, armonici concerti di purezza. Lassù, dove la notte e il giorno non esistono, dove il dolore è sconosciuto, dove unico sovrano è l’amore. Caterina è innamorata della vita, del suo continuo, imprevedibile divenire. E’ panistica, sensuale druda dell’universo. La Tagliani ha una profonda, empirica conoscenza della realtà. Grazie alla poesia, l’Artista dà la stura alla sensibilità, all’emotività. La poesia di fatto è, per Caterina, un impegnativo lavoro su sé stessa ed è in virtù di ciò che nascono le sue straordinarie, totalizzanti liriche.
Questo titolo è orfico di un bouquet aulicamente umanistico. L'orchidea è tangibilità allegorica di una considerevole energia che ha contraddistinto tutta l’esistenza, e per sillogismo, tutta l’estetica lirica di Caterina Tagliani, ma al contempo è indice di delicatezza e di profumo. Tutti questi sono gli aspetti che l'autrice ricerca nel suo verso. Centrale, nella poetica taglianea, è l’aspetto sensibile. Caterina, specularmente alla sua Arte, è icona d'incanto, finezza, grazia, tenerezza.




3 commenti:

  1. Comincio con lo scrivere che vorrei sapere come va a finire la favola de "Il Reuccio fatto a mano".
    Trovo che siano favole molto istruttive, quindi mi fa piacere di aver visto che la seconda storia, dava spunti di attività da far fare agli alunni.
    Un blog molto interessante, utile e ... all'insegna del bello! (Flox)

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  2. cara Flox, "Il reuccio fatto a mano", come avrai letto, torna alla sua reggia con la sua reginetta….Avresti dovuto vedere come …impastavano la farina le bimbe e mia nipote Silvia si arrabbiava perché la farina l'aveva portata lei ma era troppo piccola per quando abbiamo fatto la rappresentazione….e come tutti i bambini erano stati capaci di assumere il ruolo che era stato loro affidato…..bei ricordi di scuola…e ne ho tanti….Grazie della tua visita

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  3. I tuoi racconti, cara Caterina, testimoniano il grande talento e la passione per i bambini e per il tuo lavoro.

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