Nel
silenzio, quando la luna eterna
palpiti
lievi, come lumi appesi al cielo,
infinita
mi pare questa volta silenziosa
piena
di cuori gravidi e in attesa.
Soffi
di zefiro che spira, ali vibranti,
mi
risuonan, sussurri vaganti d’emigranti
da
una stella a un astro che non brilla,
eppure,
luce ricade ma il piatto è senza posta
mai
eguale, meglio seguire l’onda
che
inargenta ogni goccia che si specchia in mare.
E
nel profondo, dove i coralli fan mura alle correnti
riscopro
la mia Atlantide perduta
anch’essa
dorme al lume della luna,
appena
i raggi solcheranno l’acque
tornerà
a vivere, indomita, eterna,
nel
ricordo di molte vite erranti.
San Lazzaro di
Savena, 28 Luglio 2016
Atlantide, un
nome, una città, il mito che affascina autori di ogni tempo. Atlantide, sei
veramente perduta? Sei stata veramente ingurgitata dagli abissi? Leggendo
questo componimento ci si consola, fornendo a noi stessi la risposta che parla
di un’immortalità che qui non viene più relegata al mito, al gusto del
racconto, ma ad un sentire che va oltre ogni capacità di raccontare e di
raccontarsi. La riscoperta di Atlantide è appunto nel profondo di un mare che
l’autrice conosce bene, il pensiero, che s’inabissa in sensazioni e sentimenti
che lasciano emergere nei suoi lettori la mirabile estasi leopardiana: naufragar m’è dolce in questo mare.
È il silenzio la
condizione che conduce la poetessa a tuffarsi in un mare di sensazioni: visive,
nelle immagini della luna, della volta silenziosa e della stella, e dell’astro che non brilla;
uditive, nei palpiti lievi, soffi di zefiro, nelle ali vibranti, nei sussurri d’emigranti. Tali sensazioni, a loro volta, evocano
esperienze di vite vissute e esperienze di dolore (cuori gravidi) e di speranza
(in attesa), cui seguono i sussurri vaganti d’emigranti: sembra che in questo
silenzio notturno e lunare il pensiero umano sia in grado di percepire miriadi
di esistenze che come suono raggiungono l’autrice sotto forma di sussurri o palpiti lievi, suoni talmente indistinti che il pensiero ha
necessità di prefigurarli: come lumi
appesi al cielo.
In questo
vortice di sensazioni, l’autrice fa l’esperienza di ritrovare Atlantide: se la
luna si riflette nel mare in un’immagine che rimanda al piatto di una bilancia
che non può pendere né in un verso né in un altro, avverte l’esigenza di
abbandonarsi alla forza dell’onda. Che sia stata giustizia o meno poco importa:
la superba Atlantide è sommersa, ma dorme
al lume della luna, quasi
protetta, gelosamente custodita dai coralli
che fan mura alle correnti. E un
anelito di speranza giunge nell’ultima strofa: risorgerà Atlantide, indomita, perché le intemperie non
l’hanno sepolta del tutto quando può rivivere nella contemplazione di chi può
sentirne ancora le voci; eterna
perché la poesia la rende tale. La luna
“eternatrice” (v. 1) diviene così, nell’ultima quartina, simbolo stesso della
poesia: è risorta Atlantide, tra i versi di un bellissimo componimento.
( M. Spagnuolo )
Premiata dall'Ass. Alberoandronico", XI Edizione,- 9 Marzo 2018
Premiata dall'Ass. Alberoandronico", XI Edizione,- 9 Marzo 2018
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